Canestro e Fallo

Un’oasi di conforto

Torna “Canestro e fallo”, la rubrica di Francesco Bugnone.

22.02.2023 09:09

Non ci sentiamo da un po’. L’ultimo “Canestro e Fallo” su Basket Torino è datato primavera 2019, l’anno del fallimento, di Larry Brown, della rocambolesca e inutile salvezza sul campo, dell’ennesimo colpo inferto alla passione cestistica torinese. Una grossa ferita, ma che ovviamente non mi ha fatto smettere di seguire la pallacanestro gialloblù. In questi tre anni in cui nel mondo è successo e sta succedendo di tutto credo di aver visto tutte le partite o quasi. Non mi sono stupito più di tanto quando ci ripescarono e poi ci ributtarono in LegaDue nel 2020. Non ho dormito la notte dopo gara 4 e gara 5 delle finali contro Tortona, incazzato come raramente lo sono stato nella mia vita. Sono stato fortemente deluso dallo scorso anno perché la squadra poteva dare di più, ma i vari pezzi del puzzle, singolarmente validi, non riuscivano proprio a incastrarsi. Quest’anno, però, la situazione è differente, non tanto per i risultati (fin qui comunque grandi), ma per il clima che si è creato ed è questo clima che mi ha fatto venire voglia di tornare  a scrivere.

Nell’ultimo decennio Torino ha sempre avuto momenti turbolenti fra esoneri a sorpresa, grane di spogliatoio, botte fuori dai locali, fantasiose trattative societarie, voci surreali sul “non volere salire apposta” negli anni di Sardara e via discorrendo. Momenti di gioia unica come il ritorno nella massima serie, la salvezza in casa con Pesaro in un momento fuori da ogni logica, il ritorno in Europa, la Coppa Italia sollevata da Peppe Poeta di cui ricorre l’avversario in questi giorni sono stati bilanciati da situazioni in cui ci sembrava di essere finiti in una centrifuga di assurdità.

C’è stato un periodo particolarmente sereno ed è stato quello con Pillastrini coach una volta tornati in Lega Due. L’esserci riposizionati sulla carta geografica della palla a spicchi ci ha fatto vivere i primi mesi stagionali come una festa continua, con entusiasmo e col Ruffini tornato ruggente. La fine di quel momento in cui tutto sembrava perfetto arriva con l’eliminazione dalla Coppa Italia di categoria e da lì in poi abbiamo vissuto sull’altalena.

Quest’anno è diverso. Abbiamo provato a complicarci il pane partendo da meno tre per un pagamento effettuato in ritardo, ma io ero comunque tranquillo e non per il precedente di Verona promossa con la stessa penalizzazione, ma per chi ha scelto il presidente Avino per sedersi sulla panchina torinese: Franco Ciani. Sono passati anni, ma non posso e non potrò dimenticare come la sua Agrigento quasi riuscì a distruggere il nostro sogno di promozione nella drammatica finale del 2015. Per questo e per quanto fatto da Ciani negli anni successivi ero pieno di aspettative e sicuro che avremmo visto una squadra nel senso più profondo del termine.

Franco Ciani non è banale e non è sbruffone, ma è una persona seria che con senza promettere la luna ha voluto costruire, con la società un progetto credibile rifondando completamente il roster, capitan De Vico escluso, anche se essendo l’unico superstite della stagione precedente era come se fosse un giocatore nuovo anche lui. Allenamento dopo allenamento, partita dopo partita, il coach ha costruito un grandissimo meccanismo dove tutto ha un senso, una squadra che lotta, che si aiuta, che non spreca talento e che si sta facendo volere bene. Un bene intenso che ti fa venire voglia che la partita successiva arrivi in fretta, che anche quando è sotto non ti fa disperare perché sai che si potrebbe perdere una partita, ma mai la faccia.

“Tutti primi sul traguardo del mio cuore”. Potrei usare questa citazione se mi chiedessero chi è il giocatore preferito di quest’anno e sarebbe difficile rispondere perché ogni domenica uno sembra rubare il posto all’altro. Ognuno ha la sua peculiarità senza la quale Torino non sarebbe Torino. La leadership di De Vico, i momenti alla Steph Curry di Simone Pepe, la regalità in regia di Vencato, l’intelligenza di Schina, l’essenzialità di Mayfield, gli zompi di Jackson, lo strapotere di Guariglia, il beffardo tiro a parabola di Poser, i lampi improvvisi di Taflaj. C’è tutto, ma soprattutto c’è la voglia di sbucciarsi le ginocchia per recuperare palloni e di non dare mai per perso nessun attacco, la capacità di trovare sempre un protagonista diverso per l’ultimo tiro, il cuore unito alla bravura che ti fa venire anche giocate impossibili. Senza queste cose non vinci partite in totale emergenza come contro la Vanoli all’andata. Senza queste cose, soprattutto, non vinci tante partite punto a punto e qui veniamo a una grandissima novità per questi lidi.

La storia recente di Torino è piena zeppa di sconfitte incredibili nel finale, di beffe che vedevano esplodere di felicità settori ospiti o ci costringevano a subire cronisti ululanti in trasferta (tra l’altro, perché sul canale Lnp il nostro commentatore di casa è appassionato, ma super partes, mentre gli altri sono degli hooligan travestiti?). Quest’anno no, ne abbiamo vinte un sacco ed è stato indubbiamente godurioso sentire il cuoricino di molti commentatori spezzarsi davanti all’ennesima tripla fantascientifica di Pepe o alle giocate di Vencato. Cose che fanno bene all’anima.

Io non so come finirà quest’anno. Salire è difficilissimo, anche se è ovvio che ci speriamo e non ci nascondiamo. Però in questi mesi, per il sottoscritto, la Reale di Franco Ciani non è stata solo una squadra, ma un’oasi di conforto. In giorni difficili, in periodi duri l’appuntamento coi colori gialloblù  è stato balsamo per l’anima, due ore di tensione positiva (testimoniata da lunghe chat Whatsapp con Fabio Milano in cui, soprattutto nei testa a testa, momenti di analisi tecnica si alternavano a suoni onomatopeitici e invocazioni all’Altissimo) che alla fine ti fanno sempre pensare che quel tempo non l’hai perso che sia a palazzo o davanti alla televisione. Anche quando è andata male come all’andata a Latina spegnere non è mai stata un’opzione, perché la squadra lottava e meritava tutta la nostra attenzione. Ed è per questo che vorrei blindare Franco Ciani a vita e dargli le chiavi delle città, del Ruffini o di quello che volete voi. Ha reso sempre più bello tifare. Il mio sogno ardito, e so che sto per fare un paragone azzardato e al limite della blasfemia visto che vado a toccare il Mito, è che il coach udinese diventi il Dido Guerrieri del ventunesimo secolo. Sognare non costa nulla.

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