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Canestro e Fallo - Titoli di coda

La stagione dell'Auxilium vista da Francesco Bugnone: tra serio e faceto, ma senza tralasciare la verità e, soprattutto, il cuore.

24.04.2017 17:11

E quindi finisce così. I playoff sfumano, non possiamo nemmeno più sognare una combinazione di risultati favorevoli, perché senza le residue possibilità date dalla matematica è davvero finita, non si sogna più niente, nemmeno una radice quadrata. Peccato.

Un po’ ce lo saremmo dovuti aspettare. I troppi infortuni, i vantaggi dilapidati nelle ultime due trasferte, il fatto che nessuno si sia preso la briga di chiedere l’abolizione del terzo quarto nelle partite di pallacanestro, miravano tutti verso una direzione sola. Quando, nell’intervallo, sopra di diciassette e con un Wilson che sembra sputato fuori dai playoff Nba, sulle gradinate ci chiediamo, ridendo, “chissà come riusciremo a perdere anche questa”, in realtà mascheriamo con un sorriso versione paresi una paura ormai atavica, come quella per il mostro sotto il letto o quella di sognare di partecipare alla gara di tiri da tre dell’intervallo e perdere i pantaloni davanti a 5000 persone.

E dire che anche l’inizio di terzo quarto sembrava buono, toccando il più 21, ma è l’ultimo sussulto: gli altri che rimontano, noi che spadelliamo, il lento e inesorabile recupero di Sassari, poi il sorpasso col mio orecchio sinistro che diventa gigantesco per le urla dei sassaresi a pochi metri da me, quindi l’orgoglio che ti fa sperare contro ogni logica in un controsorpasso (le due triple di Wilson inframezzate dal gioco da quattro di Harvey) e i titoli di coda, con noi che rimaniamo immobili, increduli, pietrificati come Colantuono nel famoso meme che lo riguarda, mentre Sassari si prende i due punti.

Quando passano i titoli di coda, ci si sfoga come si può: bestemmioni tonanti, mutismo rancoroso, sfoghi sui social, rimpianti commossi. Ci sta tutto. Se pensiamo che questa avrebbe dovuto essere la stagione di consolidamento e che soddisfazioni ce ne siamo tolte, il bicchiere è mezzo pieno. Se pensiamo che avremmo potuto qualificarci per la final eight di Coppa Italia e per i playoff, è mezzo vuoto. Se pensiamo agli infortuni patiti nella stagione in quantità industriale, con tutto quel che comporta fra recuperi e soluzioni d’emergenza, abbiamo fatto tanto. Se pensiamo a come abbiamo letteralmente buttato via alcune partite, che con un minimo di accortezza in più, avremmo potuto vincere infortuni o meno, viene voglia di picchiare la testa contro il muro. Però, in tutto questo turbinio di emozioni ancora ben calde, non riesco a considerare questa stagione altro che positiva, per come ha avvicinato ulteriormente Torino alla palla a spicchi, per le emozioni date, per la felicità di avere una squadra che è anche un bel gruppo e a cui si vuole bene. Ma, soprattutto, perché se, dopo anni difficili, ti ritrovi a dire che non essere arrivate fra le prime otto è un peccato (e lo è), significa che qualcosa sta veramente cambiando e che si sta tornando a essere importanti. Chiudiamo bene il campionato, pensiamo al futuro, ma, soprattutto, cerchiamo delle catene robuste per legare Wilson alla Mole Antonelliana, grazie.

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