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CANESTRO E FALLO - Al di là della rete

Da domenica sera, ho in testa una delle scene più importanti di “Matchpoint”. No, non quella in cui Scarlett Johansson e Jonathan Rhys-Meyers fanno le cosette nei campi. Parlo del monologo iniziale...

04.04.2017 15:48

Da domenica sera, ho in testa una delle scene più importanti di “Matchpoint”. No, non quella in cui Scarlett Johansson e Jonathan Rhys-Meyers fanno le cosette nei campi. Parlo del monologo iniziale: “Chi disse “preferisco avere fortuna che talento”, percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte, in una partita, la palla colpisce il nastro e, per un attimo, può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna, va oltre. E allora si vince. Oppure no, e allora si perde.”

Contro Pistoia, non è stata solo questione di fortuna. Però il momento della palla sul nastro c’è stato eccome e ha cambiato tutto. Succede a poco di più di un minuto dalla fine del supplementare, con Torino avanti di due. Rimbalzo difensivo, ripartiamo, ennesima magia di Poeta che libera sotto canestro White. DJ, quei canestri, generalmente li fa bendato. Verso la fine dei regolamentari, in una situazione più difficoltosa, ha divorato Crosariol e schiacciato in testa ad Antonutti in quella che avrebbe potuto essere la giocata decisiva e che, ripensandoci, mi fa ancora venir voglia di zompare per aria come abbiamo fatto tutti al “Ruffini”.  Stavolta sembra ordinaria amministrazione, stiamo già alzando le braccia, ma la palla non entra, Pistoia riparte, Harvey difende in maniera rivedibile su Jenkins, canestro e fallo (sigh), Jenkins sbaglia il libero, rimbalzo offensivo, tripla di Moore. Dal possibile più quattro a meno tre, dall’ottavo posto in solitaria al decimo, il concetto di doccia fredda adattato alla pallacanestro, l’idea che in pochi secondi tutto il male del mondo si fosse concentrato contro di noi. In quel momento sarebbero potuti arrivare dei lottatori a prenderci a schiaffi uno per uno e non ci saremmo stupiti. La palla può andare oltre o tornare indietro. Ci è finita in faccia.

Alla lunga, gli infortuni li senti, anche se, dopo Cantù, abbiamo guardato chi ci fosse a referto con meno apprensione, convinti di essere più forti anche della sfortuna e l’inizio del match sembrava darci ragione. Però, in queste situazioni, basta qualche dettaglio storto e finisce male: Hollins, innervosito dal numero di mani addosso al limite dell’erotismo in ogni azione, che rende meno, Harvey e Alibegovic che si inceppano, un po’ di umana stanchezza e Pistoia, rimasta serena anche quando era sotto, vince.

Però si continua a essere Squadra, anche quando si perde e quando fa male, con l’umore ti rimane un po’ sporcato a quasi 48 di distanza. Poeta è da monumento equestre, Wilson da fantabasket, il gruppo è unito e si nota anche da come sono esplosi tutti quando la si è riaperta, con la forza della disperazione, a undici secondi dalla fine.

E adesso? Il sogno playoff sfuma? Si complica maledettamente, senza dubbio. Però, poco più di un anno fa, una persona che ne sa parecchio, dopo una drammatica sconfitta a Capo d’Orlando, scrisse proprio su queste righe “non è finita finché non è finita”. La situazione era totalmente diversa, nera, si lottava per la sopravvivenza in A, con una retrocessione che sembrava inevitabile e che avrebbe potuto dare una potente mazzata a un movimento ritrovato. Com’è andata a finire lo sappiamo tutti. E allora sotto con queste cinque partite, proviamoci e vediamo se la palla finirà al di qua o al di là del nastro. O meglio, del ferro.

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