Canestro e Fallo

#DERONSTAY

14.05.2018 17:22

Confesso. Non sono andato a Palazzo a vedere le ultime due. Non per protesta, ma per lo strano senso di malinconia che mi attanaglia nelle gare che non contano più nulla per la classifica, quelle in cui tanto, non essendoci più niente da fare, il bello del vincere e l’amarezza del perdere diventano rarefatti.

Tutto questo non mi ha impedito di maledire la sorte contro Trento o essere stupidamente soddisfatto dopo la vittoria di mercoledì, con l’intermezzo del petto gonfio d’orgoglio per l’epica partita a Brescia, ennesimo capitolo di una sfida infinita che ci lega da anni.

Però è diverso. Prevale la tristezza per non avere continuato a riempire di gialloblù queste settimane con l’adrenalina dei playoff e per dover aspettare quattro mesi per colorare di nuovo le nostre domeniche con questi colori splendidi. La stessa tristezza che si intuiva negli occhi di Galbiati, a cui è impossibile non voler bene per quanta anima e bravura ci mette, quando raccontava il rimpianto per ciò che non è stato in conferenza stampa.

Ora sarà tempo di mercato, di voci, di nomi, di telenovele. Un punto fermo, fortunatamente, c’è già ed è il rinnovo di Poeta, il paradigma del Capitano se ne esiste uno. Però, adesso, bisogna confermare il cuore pulsante della squadra, colui che butta tutto se stesso oltre l’ostacolo, volando sulle nostre teste e aggrappandosi al ferro per schiacciare. Pochi cazzi, dobbiamo tenere Deron Washington.

Ehi, dico a te, vicepresidente. Blindalo. Non possiamo permetterci di perderlo.

Ero certo che lo avrei amato, fin dal primo momento in cui l’abbiamo preso. D’altronde non si può non adorare uno che in campo dà letteralmente tutto su entrambi i lati, che le prende e le dà sempre col sorriso, che si butta nel traffico senza paura fluttuando nell’aria, dando letteralmente corpo al fatto che l’uomo sogni di volare. Uno che si piazza fermo, immobile contro qualsiasi treno in corsa gli arrivi addosso e si prende sfondamento. Uno che quando fa una vaccata, non ti fa alzare serenamente gli occhi al cielo, perché ti senti subito in colpa e al massimo gli puoi urlare “Ma Deroooon”. Uno con quei capelli. Uno che finge il massaggio cardiaco a Jones coi crampi. Uno che schiaccia e fa la statua. Un eroe positivo. Semplicemente non si può. E se vuoi essere realmente una squadra, uno così lo devi incatenare alle panche dello spogliatoio.

Ma poi vogliamo parlare della famiglia? Se ci si ritrova, per caso, a leggere i commenti di pagine drammatiche tipo Alpha Woman, l’unica reazione possibile è murarsi vivi senza voler più avere una relazione sentimentale in vita propria. Poi guardi il profilo Instagram di Deron, Christina, Josiah e Liam, che, detto per inciso, deve diventare cittadino onorario di Torino subito, e viene voglia di fare una famiglia con ottantasette figli. Tenerlo, quindi, potrebbe anche combattere il calo della natalità, pensiamoci.

Guarda, Deron, pur di farti restare, faccio una cosa che va contro la mia indole e lancio un hashtag. Gli hashtag mi fanno cagare, sappilo, soprattutto quelli legati alla politica: appena ne leggo uno, mi viene voglia di andare il soggiorno, prendere il tavolo e buttarlo dal balcone. Ma per te lo faccio. E allora #STAYDERON. Che magari, visto che abiti più o meno dove lavoro, è la volta buona che ti incontro (cioè ti hanno visto i miei e io no, pensa la beffa).

Ora scusa, ma vado a rivedere per la quindicimilesima volta te che scappi in contropiede e dai a Vujacic il pallone che ci ha fatto alzare la Coppa Italia. Lo guardo e sento qualcosa di strano. Mi dev’essere finita una bruschetta nell’occhio.

Photo credit: Fotoracconti.it

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